Lo sciopero, la serrata e gli altri mezzi di lotta sindacale
30.06.2013 15:31
IL DIRITTO DI SCIOPERO
L’originario divieto penale dello sciopero venne meno con il codice Zanardelli del 1889 e poi fu reintrodotto( con il divieto penale di serrata) nell’ordinamento corporativo, fino al riconoscimento dello sciopero come diritto ad opera dell’art. 40 Cost. Fino a quando lo sciopero non fu riconosciuto come diritto, l’abolizione dell’incriminazione penale non escludeva l’illiceità del comportamento sul piano contrattuale. Solo con il riconoscimento del diritto viene eliminato il profilo dell’inadempimento contrattuale , consentendosi al lavoratore di astenersi legittimamente dallo svolgimento della prestazione dovuta( con la perdita della retribuzione in coerenza al principio di corrispettività). Tuttavia, la disposizione dell’art. 40 che prevedeva che lo sciopero si dovesse esercitare nell’ambito delle leggi che lo regolano, non ha mai trovato attuazione. Dunque la dottrina e la giurisprudenza hanno, nonostante questo, affermato l’immediata precettività della tutela del diritto di sciopero, anche in mancanza delle leggi regolatrici. Tale visione ha trovato conferma nella Corte Costituzionale . Il processo di valorizzazione dello sciopero viene rafforzato dall’introduzione della protezione antidiscriminatoria dei lavoratori partecipanti allo sciopero ( sanzionando con la nullità i relativi atti) e dall’introduzione, con l’art. 28 della legge 300/1970, di un meccanismo repressivo dei comportamenti discriminatori dei lavoratori nei confronti degli scioperanti. Per quanto riguarda la definizione di sciopero, mentre Passarelli lo definiva come <<diritto potestativo>>, cioè come <<potere dei lavoratori di sospendere i relativi rapporti di lavoro mediante una manifestazione di volontà idonea a produrre una modificazione in loro favore del contratto>>, Mengoni lo qualificò come <<diritto assoluto della persona>> e Giugni come <<libertà fondamentale>>, per aprire la strada all’utilizzo dello sciopero non solo come rivendicazione nei confronti del datore di lavoro, ma anche verso il legislatore, il Governo, il Parlamento, la p.a.
Sciopero politico-economico. Se lo sciopero non è solo uno strumento di protesta contro il datore di lavoro ma anche contro le istituzioni sopra citate, l’articolo 40 viene messo in collegamento con il secondo comma dell’art. 3 della Costituzione, in quanto si individua lo sciopero come uno degli strumenti che concorrono alla rimozione delle disuguaglianze di fatto che “impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. La Corte Costituzionale, con il riconoscimento dello sciopero di solidarietà ( esercitato non nell’interesse diretto degli scioperanti ma per sostenere le rivendicazioni di altri gruppi di lavoratori), ritiene legittimo lo sciopero politico-economico. Per quanto riguarda invece lo sciopero politico puro, la Corte Costituzionale ritenne incompatibile con la Costituzione il reato di sciopero politico. In ogni caso, queste astensioni collettive, pur costituendo legittimo esercizio della libertà di opinione, non possono qualificarsi sciopero ai sensi dell’art. 40 e quindi restano, sul piano del rapporto di lavoro, comportamenti illegittimi, realizzando un inadempimento che rileva sul piano disciplinare e risarcitorio.
Titolarità del diritto di sciopero. La norma costituzionale non dice nulla riguardo ai soggetti a cui compete il diritto di sciopero. Nel fenomeno dello sciopero si intrecciano la posizione del gruppo titolare dell’interesse collettivo e quella del singolo che resta libero di aderire o meno all’astensione dal lavoro. In assenza di leggi regolatrici, la titolarità di sciopero è stata riconosciuta ai singoli lavoratori, in quanto ognuno può decidere, di volta in volta, se esercitare in concreto il diritto. Inoltre, dato che lo sciopero può essere attuato solo per la difesa di un interesse collettivo, l’esercizio del diritto da parte di un singolo è condizionato dalle determinazioni del gruppo. Dunque lo sciopero può essere qualificato come diritto individuale ad esercizio collettivo. A qualificare l’astensione dal lavoro come sciopero non è dunque il numero degli scioperanti ma la natura dell’interesse tutelato che deve essere collettivo, cioè riferito o riferibile ad una collettività.
Proclamazione dello sciopero. E’ ancora aperto il dibattito in dottrina se la legittimità dello sciopero sia condizionata dall’esistenza di un atto collettivo di deliberazione, denominato proclamazione dello sciopero. E’ opinione generale e condivisa che qualche deliberazione debba esserci. Secondo molti giuslavoristi non c’è bisogno che la deliberazione sia formalizzata, né che vi sia uno scarto temporale tra questa deliberazione e la concreta attuazione dello sciopero, salva l’ipotesi in cui sia la legge a richiederlo ( come nell’area dei servizi pubblici essenziali). Diversamente, autorevole dottrina (Persiani) ritiene che lo sciopero per essere legittimo debba essere preceduto dalla proclamazione seppur senza obbligo di preavviso. La proclamazione deve essere allora qualificata come negozio di autorizzazione: negozio perché è e resta atto di privata autonomia e quindi atto libero ; di autorizzazione perché il suo effetto è quello di rimuovere un ostacolo all’esercizio del diritto di sciopero.
Lo sciopero per i collaboratori coordinati e continuativi. L’opinione prevalente è che la titolarità del diritto sia riconosciuta anche ai collaboratori autonomi coordinati e continuativi, e quindi, prevalentemente, ai lavoratori a progetto perché il legislatore con il d.lgs. 276/2003 ha gradualmente esteso a questi prestatori d’opera tutele proprie del lavoro subordinato.
Lo sciopero per gli esercenti delle piccole industrie. La Corte Costituzionale ha stabilito che l’astensione dal lavoro di questi non sia qualificabile come serrata ma assimilabile allo sciopero come strumento legittimo di pressione riconosciuto ai gruppi sociali in un ordinamento pluralista. Ovviamente, se questi piccoli imprenditori hanno alle loro dipendenze dei lavoratori, la chiusura dell’esercizio dovrà qualificarsi una serrata, con conseguente obbligo di retribuire il lavoratore che non ha potuto prestare la sua attività lavorativa. E’ esclusa invece la qualificazione di sciopero in senso tecnico dell’astensione collettiva dall’attività dei liberi professionisti.
Le clausole di pace sindacale. La qualificazione dello sciopero come diritto individuale ad esercizio collettivo comporta che le organizzazioni sindacali non hanno poteri dispositivi del diritto , dato che la proclamazione può essere operata da qualsiasi gruppo spontaneo di lavoratori. L'accordo interconfederale tra Confindustria e Cgil, Cisl e Uil del 15 aprile 2009, inerente l'attuazione dell'Accordo quadro sulla riforma degli assetti contrattuali del 22 gennaio 2009, ha introdotto un obbligo di "pace sindacale", il quale prevede che, nei sei mesi precedenti la scadenza del contratto nazionale e nel mese successivo, le parti non assumano iniziative unilaterali, né diano luogo ad azioni dirette. Questo vuol dire che, con la conclusione del contratto collettivo, le parti si obbligano, solo e solamente per le materie concernenti il contratto in discorso, ad attuare una tregua, ossia a far cessare lo stato di conflitto. Ovviamente tale stato potrebbe ripristinarsi per una diversa ragione. Va sottolineato come gli effetti delle clausole di tregua si ripercuotano solo sulle parti stipulanti, ossia sui sindacati e sulle associazioni degli imprenditori, e non direttamente sui lavoratori, che conservano tutti i diritti a loro concessi, ivi incluso quello di sciopero. Tali clausole, quindi, hanno un effetto obbligatorio ed in alcun modo normativo.
I limiti del diritto di sciopero e scioperi anomali. L’esercizio del diritto di sciopero consiste in un’astensione collettiva dal lavoro, operata da una pluralità di lavoratori per la tutela di un interesse collettivo. Secondo un orientamento della Corte di Cassazione, tutt’oggi ancora prevalente, non sussisterebbero limiti “interni” allo sciopero, né in ordine alla continuità o all’intermittenza, né in merito all’alternanza di settori aziendali nell’astensione. Legittimi sarebbero dunque lo sciopero a singhiozzo, quello a scacchiera ma anche astensioni che interessino alcune prestazioni ( sciopero delle mansioni) o il rifiuto di prolungare l’attività lavorativa ( sciopero dello straordinario) o un volontario rallentamento della prestazione ( sciopero del rendimento). A questo proposito, si discute se il datore di lavoro debba retribuire la prestazione negli spezzoni o con le modalità con cui viene offerta. Molti ritengono in questa ipotesi legittima una decurtazione della retribuzione proporzionale al minor rendimento e la facoltà, da parte del datore, di “mettere in libertà” i lavoratori, rifiutando la prestazione offerta fra un’astensione ed un’altra per via della sua inutilità o irricevibilità. L’affermarsi del modello concertativo e la conseguente assunzione tra i valori del movimento sindacale dell’impresa, hanno portato alla graduale scomparsa del ricorso alle forme anomale di sciopero. La giurisprudenza della Cassazione ha inoltre recuperato quale elemento di dissuasione del ricorso alle forme anomale, la legittimità del rifiuto del datore di lavoro delle prestazioni rese con modalità tali da non renderle fruibili, decurtazioni retributive proporzionali ai periodi di inutilità della prestazione offerta.
Produttività e produzione. Se le modalità dello sciopero possono arrecare danni alla produzione, esse non devono pregiudicare gravemente o irreparabilmente la produttività dell’impresa. Sono stati stipulati numerosi accordi aziendali che disciplinano le ipotesi in cui la comandata è possibile e le sue modalità di attivazione, spesso riservando al sindacato una partecipazione nella selezione dei lavoratori da comandare.
Altri mezzi di lotta sindacale.
Picchettaggio: Un numero più o meno ampio di lavoratori in sciopero, dipendenti dell’azienda o anche provenienti da altra azienda, stazionando vicino o di fronte agli ingressi per dissuadere, disturbare , impedire l’accesso di coloro che non partecipano allo sciopero. Bisogna distinguere fra il picchettaggio di mera persuasione , legittimo in quanto costituisce libera manifestazione del pensiero, e il picchettaggio violento che dà luogo a comportamenti penalmente e civilmente illeciti. Vietati è anche la barriera umana, il blocco delle merci, il blocco stradale.
Occupazione di azienda: Occupazione dei locali dell’azienda con o senza prosecuzione dell’attività produttiva. La Corte Costituzionale ha ritenuto legittimo l’art. 508 c.1 cod. pen. Che configura il reato di occupazione d’azienda, perché il diritto di sciopero non comporta come mezzo indispensabile l’occupazione dell’azienda altrui.
Sciopero bianco: Breve permanenza degli scioperanti all’interno dell’azienda e tende a spingere il datore di lavoro a mettere in libertà i non scioperanti. L’azione dimostrativa e non violenta deve ritenersi legittima. Se però il presidio si prolunga oltre il termine della giornata lavorativa, lo sciopero bianco si trasforma in occupazione d’azienda.
Sabotaggio: Costituzionalmente legittime sono le norme penali che prevedono i reati di sabotaggio e di boicottaggio. Per boicottaggio s’intende il comportamento diretto ad escludere l’imprenditore dai rapporti economici inducendo, anche senza violenza o minaccia, una o più persone a non fornirgli lavoro, materie prima e attrezzature o a non acquistare i prodotti.
La disciplina dello sciopero nei servizi essenziali.
Già nell’ordinamento corporativo e nel codice penale il legislatore aveva distinto tra lo sciopero nei settori produttivi e lo sciopero nei servizi pubblici, prevedendo i reati di abbandono individuale o collettivo di pubblici impieghi e servizi ( artt. 330 e 333 c.p. , ora abrogati dalla legge 146 del 1990), per sottolineare la diversa gravità sociale del fenomeno laddove riferita ad interessi fondamentali. La stessa Corte Costituzionale aveva elaborato la distinzione tra servizi pubblici e <<servizi di preminente interesse generale>>, confermando la legittimità costituzionale in particolare dell’art. 330 c.p. , applicabile quando lo sciopero non fosse stato attuato secondo modalità atte a garantire il funzionamento minimo del servizio.
Nel 1980 le pronunce della Corte Costituzionale avviano dunque l’esperienza dell’autoregolamentazione sindacale dello sciopero nei servizi pubblici essenziali. Le Federazioni unitarie Cgil, Cisl e Uil avevano predisposto una procedura di carattere generale alla quale avrebbero dovuto ispirarsi i codici di autoregolamentazione che le singole associazioni di categoria avessero deciso di adottare. Tale esperimento non si rivelò del tutto positivo, in quanto, in settori caratterizzati da una marcata frammentarietà sindacale e dalla presenza del sindacalismo autonomo, si veniva a creare una pluralità di codici tutti diversi fra loro e nessuno in grado di vincolare i lavoratori non iscritti o iscritti ad altra organizzazione sindacale.
Si giunse così alla legge n° 146/19901990, poi modificata con l’intervento correttivo della legge n°83/2000. L’impianto normativo, anche dopo l’intervento del 2000, pone direttamente soltanto poche norme di condotta, affidando l’attività regolativa, proprio in ordine alle prestazioni indispensabili, ad un complesso procedimento di cui sono protagonisti gli stessi sindacati ed un’apposita Commissione di garanzia, limitandosi il legislatore a indicare solo alcuni contenuti necessari della disciplina collettiva a fissare alcuni limiti a tutela dei diritti degli scioperanti e degli utenti. Lo scopo della legge è quello di contemperare l’esercizio dei del diritto di sciopero con il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, alla vita, alla salute, alla libertà e alla sicurezza, alla libertà di circolazione, all’assistenza e alla previdenza sociale, all’istruzione e alla libertà di comunicazione.
Le procedure di raffreddamento. La legge n°83/2000 al fine di limitare le proclamazioni di sciopero, prevede che i contratti collettivi in materia debbano prevedere procedure di raffreddamento e di conciliazione obbligatorie per entrambe le parti, da esperire prima della proclamazione dello sciopero. Le parti possono seguire, in alternativa, una procedura amministrativa regolata dalla stessa legge nella quale la gestione è affidata al Ministro del Lavoro, al Prefetto o al Sindaco.
Obbligo di preavviso scritto e motivato. Esperita senza esito la procedura di raffreddamento e conciliazione, le organizzazioni sindacali possono proclamare lo sciopero. Devono dare comunicazione scritta con indicazione della data, delle modalità, della durata e della motivazione al datore di lavoro e all’autorità amministrativa titolare del potere di precettazione che, a sua volta, è tenuta a trasmetterla alla Commissione di garanzia. Tra la proclamazione e l’effettuazione dello sciopero deve intercorrere un intervallo minimo di dieci giorni. La durata dell’intervallo può essere ampliata ma non ridotta dal contratto collettivo in materia. E’ previsto un obbligo di intervallo minimo tra scioperi suscettibili di colpire il funzionamento di uno stesso servizio nell’ambito dello stesso bacino d’utenza ( c.d. principio della rarefazione oggettiva).
Obbligo di comunicazione agli utenti. Le amministrazioni e le imprese erogatrici del servizio devono dare comunicazione agli utenti almeno cinque giorni prima dall’inizio dello sciopero, dei modi e tempi di erogazione del servizio durante l’astensione, nonché di quelli di riattivazione piena. Devono inoltre consentire alle televisioni, alle radio e ai giornali di diffondere tali comunicazioni. Devono ancora consentire interventi della Commissione di garanzia per operare un nuovo tentativo di conciliazione o per formulare delibere di invito al differimento dello sciopero. L’obbligo di preavviso minimo è escluso solo nel caso di sciopero politico in difesa dell’ordine costituzionale e di sciopero di protesta per gravi eventi lesivi dell’incolumità e della sicurezza dei lavoratori.
Divieto di revoca spontanea ingiustificata. La legge 83/2000 ha vietato la revoca spontanea ingiustificata dello sciopero anche legittimo dopo che sia stata data informazione all’utenza , al fine di evitare il c.d. effetto annuncio (con l’effetto annuncio i sindacati conseguono lo stesso risultato disorganizzativo dello sciopero nei confronti dell’utenza senza neppure attuarlo. L’effetto annuncio è punito con le stesse sanzioni dello sciopero illegittimo. ) Giustificata è la revoca che accoglie un invito di desistenza o di differimento della Commissione di Garanzia o dell’autorità preposta alla precettazione o che interviene a seguito di accordo di composizione, anche provvisoria, del conflitto.
Determinazione delle prestazioni indispensabili. Le prestazioni indispensabili e le modalità di svolgimento dell’astensione devono essere determinate servizio per servizio. Tale compito è affidato all’autonomia collettiva. Gli accordi collettivi sono stipulati tra il datore di lavoro e le rappresentanze sindacali dei lavoratori ( quando si tratti di accordi aziendali) ovvero tra le organizzazioni nascionali dei datori di lavoro e dei lavoratori( quando si tratti di contratti collettivi nazionali). Gli accordi devono contenere le procedure di raffreddamento e conciliazione e la clausola di rarefazione oggettiva. Tale compito , alternativamente all’autonomia collettiva, può essere affidato anche all’autoregolamentazione. I codici di autoregolamentazione sono adottati dalle associazioni che rappresentano i lavoratori autonomi, i liberi professionisti ed i piccoli imprenditori. In carenza di disciplina o in presenza di disciplina non idonea, subentra una regolamentazione provvisoria dettata dalla Commissione di garanzia.
Efficacia generalizzata delle regole. Gli accordi collettivi ed i codici di autoregolamentazione producono effetti vincolanti per tutti i soggetti coinvolti dal momento in cui la Commissione di garanzia li ha valutati idonei, non potendosi prevedere comportamenti differenziati a salvaguardia dei diritti degli utenti. L’uniformità e la certezza delle regole è la maggiore garanzia per gli utenti.
Le quote strettamente necessarie di servizi e di personale. Negli accordi e nei codici che individuano le prestazioni indispensabili e le altre misure di contenimento, possono essere previste necessarie quote di lavoratori che assicurino il servizio durante il periodo di astensione oppure forme di erogazione periodica del servizio. La legge 83/2000 ha previsto che, come parametro di riferimento valutativo, le prestazioni indispensabili siano “contenute in misura non eccedente mediamente il 50% delle prestazioni normalmente erogate” e riguardino “ quote strettamente necessarie di personale non superiori mediamente ad 1/3 del personale mediamente utilizzato per la piena erogazione del servizio”.
L’idoneità degli accordi e dei codici di autoregolamentazione. Gli accordi stipulati ed i codici di autoregolamentazione deliberati devono essere comunicati, a cura delle parti, alla Commissione di garanzia che, sentite le organizzazioni dei consumatori e degli utenti rappresentative a livello nazionale, ne deve valutare l’idoneità ed assicurare il contemperamento del diritto di sciopero con il godimento dei diritti della persona umana costituzionalmente tutelati.
La Commissione di garanzia. E’ un’autorità indipendente con il compito di garantire il bilanciamento tra diritti di rango costituzionale E’ composta da nove membri designati dal Presidente della Camera e del Senato, nominati con decreto del Presidente della Repubblica e scelti tra esperti nelle materie del diritto costituzionale, del diritto del lavoro, delle relazioni industriali. Il mandato è triennale. Le delibere della Commissione sono sottoposte al controllo giudiziario del giudice amministrativo ( salvo delibere in materia di sanzioni, che sono sottoposte al controllo del giudice ordinario). La Commissione valuta l’idoneità degli accordi collettivi e dei codici di autoregolamentazione. Se valuta positivamente l’accordo, le imprese e le amministrazioni erogatrici del servizio hanno il potere-dovere di imporre a tutti i dipendenti il rispetto delle regole per l’esercizio del diritto di sciopero. In assenza di accordo, o nel caso di valutazione negativa dell’accordo, la Commissione esercita il suo autonomo potere regolamentare di disciplina seppur in via provvisoria e suppletiva, in materia di esercizio del diritto di sciopero nell’ambito dei servizi pubblici essenziali. In tale ipotesi, la Commissione formula una proposta in ordine alle prestazioni indispensabili e alle altre misure di contemperamento. La proposta viene sottoposta alle parti e alle organizzazioni degli utenti, che hanno 15 giorni di tempo per formulare osservazioni. Decorsi questi giorni, la Commissione, entro 20 giorni, emana la sua regolamentazione provvisoria, che sarà sostituita quando verrà raggiunto un accordo o un codice di autoregolamentazione idoneo.
Prevenzione degli scioperi illegittimi. La Commissione previene anche gli scioperi illegittimi. Nel momento in cui riceve la comunicazione della proclamazione dello sciopero, verifica se l’astensione sia rispettosa delle regole ( preavviso, intervallo minimo ecc.). Se riscontra violazioni, può invitare l’organizzazione sindacale responsabile della proclamazione a revocarlo o differirlo. Se il primo intervento non è sufficiente, può deliberare un invito formale. In questo caso, l’inottemperanza dell’ordine della Commissione comporta la sanzione per l’illegittimità dello sciopero.
Quando la commissione ritiene che dallo sciopero possa derivare un pericolo reale di pregiudizio grave ed imminente ai diritti degli utenti, lo segnala all’autorità amministrativa competente ( Il Presidente del Consiglio, il Ministro o Prefetto, a seconda delle dimensioni del conflitto). Questa invita le parti a revocare lo sciopero. In caso di mancata accettazione dell’invito, l’autorità amministrativa può emanare un’ordinanza di precettazione che interessa sia le organizzazioni proclamanti, sia i singoli lavoratori, sia i datori di lavoro (nonché i lavoratori autonomi, i liberi professionisti, i piccoli imprenditori e le loro organizzazioni). L’ordinanza deve essere emanata non più tardi di 48 ore prima dello sciopero ed opportunamente comunicata a tutti i destinatari, deve essere motivata e conformarsi, quanto alle misure indispensabili per il funzionamento del servizio, alla delibera della Commissione di garanzia (differimento dello sciopero, riduzione della sua durata, misure finalizzate a garantire un funzionamento parziale del servizio). La mancata ottemperanza comporta l’irrogazione, a carico dei soggetti individuali e collettivi, di sanzioni amministrative applicate dagli organismi del Ministero del lavoro competenti per territorio.
Il procedimento per l’irrogazione delle sanzioni. Tutte le sanzioni, ad eccezione di quelle per violazione dell’ordine di precettazione, sono deliberate dalla Commissione di garanzia. Questa, su richiesta delle parti interessate, delle associazioni nazionali degli utenti, delle autorità nazionali o locali che vi abbiano interesse, apre il procedimento di valutazione del comportamento di tutti i soggetti coinvolti nell’astensione collettiva . L’apertura del procedimento viene notificata dalle parti che hanno 30 giorni per presentare osservazioni scritte o per chiedere di essere sentite in contraddittorio. Decorso tale termine, la Commissione formula una propria valutazione e delibera le sanzioni ed i termini entro i quali devono essere applicate.
Le sanzioni. Sono amministrative, civili e disciplinari. Quelle amministrative, sono applicate con ordinanza-ingiunzione dal competente organo provinciale del Ministero del lavoro. Quelle civili nei confronti dei sindacati sono applicate dai datori di lavoro; questi applicano anche le sanzioni disciplinari prescritte dalla Commissione nei confronti dei lavoratori.
L’esecuzione delle delibere. La legge 83/2000, per garantire l’effettività del meccanismo sanzionatorio, ha dotato la Commissione del potere di chiedere informazioni ai datori di lavoro e all’Inps in ordine all’esecuzione delle delibere nei termini prescritte, nonché di comminare una sanzione amministrativa pecuniaria per ogni giorno di ritardo nell’applicazione delle sanzioni civili e disciplinari. Analoga sanzione è prevista per l’omessa informazione in ordine agli scioperi proclamati o effettuati e alle loro motivazioni.
Le sanzioni per i lavoratori. Per i lavoratori subordinati che partecipano ad uno sciopero illegittimo sono previste sanzioni disciplinari. Queste possono essere solo conservative, con espressa esclusione di sanzioni estintive o che comportino mutamenti definitivi del rapporto.
Le sanzioni per i sindacati. Sia che proclamino o aderiscano ad uno sciopero illegittimo, sia se revochino ingiustamente uno sciopero già proclamato dopo le comunicazioni dei datori di lavoro agli utenti, i sindacati vengono sanzionati. Le sanzioni civili consistono nella pedita dei permessi sindacali retribuiti e/o dei contributi sindacali e nell’esclusione per due mesi dalle trattative. Per i sindacati che non fruiscono di permessi e di contributi e non partecipano alle trattative, le sanzioni civili sono sostituite da una sanzione amministrativa pecuniaria comminata ai legali rappresentanti.
Le sanzioni per i datori di lavoro. Sono puniti, per le pubbliche amministrazione, i dirigenti responsabili e per le imprese e per gli enti economici i legali rappresentanti. E’ prevista una sanzione amministrativa pecuniaria. Le ipotesi sono quelle dell’omesso espletamento delle procedure di raffreddamento e conciliazione, dell’omessa informazione agli utenti, dell’omessa erogazione delle prestazioni indispensabili e delle altre misure di contemperamento.
Le sanzioni per i lavoratori autonomi. I liberi professionisti ed i piccoli imprenditori sono soggetti ad una sanzione amministrativa pecuniaria, sia per i singoli partecipanti che per le associazioni che abbiano promosso l’astensione illegittima, con responsabilità solidale per il pagamento.
Il ricorso contro le sanzioni. Contro le delibere della Commissione di garanzia in materia di sanzioni è ammesso ricorso al giudice del lavoro, con competenza territoriale del Tribunale di Roma. Possono essere impugnate anche le sanzioni disciplinari, con competenza del giudice del lavoro e quelle amministrative con competenza del giudice ordinario.
LA SERRATA
E’ il tradizionale mezzo di lotta sindacale dei datori di lavoro. Consiste nella sospensione dell’attività dell’impresa con connotazione difensiva, come risposta ad un’azione di lotta dei lavoratori oppure offensiva, come prevenzione di un possibile conflitto collettivo. La Costituzione ignora la serrata. Si deduce l’inesistenza di un diritto di serrata che, sul piano civilistico, costituisce mora credendi del datore di lavoro (artt. 1206 ss. c.c.) che rimane obbligato a retribuire le prestazioni rifiutate senza un motivo legittimo. Parlando di serrata di ritorsione ci si riferisce all’ipotesi in cui il datore di lavoro rifiuti le prestazioni, ritenendole irricevibili, perché non utilizzabili a causa delle modalità dello sciopero (es. : sciopero a singhiozzo) o valutando opportuna la chiusura dell’azienda per evitare o limitare danni a persone o agli impianti che l’astensione collettiva potrebbe determinare. Se il comportamento dell’imprenditore è legittimo e dunque non configura un comportamento antisindacale ( art. 28 legge 300/1970), non ci si trova di fronte ad una serrata. In ogni caso, in ragione della persistenza dell’obbligo retributivo in caso di serrata, assume poco rilievo il riconoscimento del diritto di serrata a fini contrattuali ed a fini di solidarietà o di protesta, da parte della Corte Costituzionale.
di Giovanna Cento
di Giovanna Cento